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COVID-19

In evidenza:


Secondo le attuali conoscenze, un evento cruciale nella risposta protettiva dell'ospite contro l'infezione da SARS CoV-2 dipende da un'attivazione precoce strettamente regolata e ben coordinata del braccio innato del sistema immunitario. In particolare, un passaggio chiave in questo processo difensivo è rappresentato dalla produzione e secrezione di interferoni di tipo I-III. Alcuni studi hanno indagato la cronobiologia, riguardante il rilascio di queste molecole, nonché l'entità e l'andamento temporale di questo evento. È stato riportato che una risposta interferone di tipo I ridotta e ritardata provoca l'infiltrazione dei polmoni da parte di monociti-macrofagi infiammatori patogeni (IMM). Queste cellule secernono quantità elevate di citochine/chemochine polmonari, causando danni nella parete endoteliale dei vasi e la compromissione delle risposte specifiche delle cellule T contro il virus. 

In risalto:


  • SARS CoV-2 provoca una sindrome potenzialmente pericolosa per la vita, definita COVID-19.
  • COVID-19, sepsi e pancreatite acuta grave condividono eventi patogenetici.
  • Sepsi e Pancreatite acuta severa possono essere un paradigma utile per migliorare la nostra comprensione del COVID-19.
  • Una migliore conoscenza della sepsi può migliorare la gestione dei soggetti con COVID-19.
  • Sono indicati i trattamenti anti SARS CoV-2 disponibili fino ad oggi e i loro bersagli cellulari.

Fig. 3. La risposta difensiva indotta dal sistema degli interferoni nei pazienti con COVID-19 differisce da quella rilevabile negli individui con influenza. L'infezione da SARS CoV-2 induce una risposta interferone di tipo I-III più debole e ritardata rispetto a quella provocata dal virus dell'influenza (circa 1-3 giorni nell'influenza; 7-10 giorni nel COVID-19). Inoltre, SARS CoV-2 stimola il rilascio di un pattern di citochine da parte delle cellule immunitarie, tra cui TNF-⍺, IL-6, IL-8, IL-10. Lo spettro di questi mediatori è simile a quello suscitato dal virus dell'influenza, ma la risposta infiammatoria indotta negli individui con COVID-19 è più prolungata ed è associata a ospedalizzazione più lunga, maggiore incidenza di malattie critiche e mortalità rispetto a quella rilevabile in soggetti con influenza

Recenti ricerche hanno confermato gli effetti benefici della produzione o somministrazione tempestiva di IFN rispetto a quelli deleteri osservati con la sua sintesi o uso tardivo. Lo studio è stato condotto su 446 pazienti e ha mostrato un esito clinico favorevole e una diminuzione della mortalità ospedaliera in individui con COVID-19, che sono stati trattati precocemente con IFN-⍺ (IFN-2ab). D'altra parte, è stato osservato un aumento della mortalità e un recupero più lento negli individui sottoposti a una somministrazione ritardata di questo farmaco.


Nei pazienti COVID gravi si verifica una risposta mediata dall’interferone più debole e ritardata. Infatti, un'ampia serie di studi ha suggerito che gli interferoni di tipo I-III possono essere efficaci e svolgere un ruolo cruciale nel contrastare l'infezione associata al SARS CoV-2. In particolare: 

  1. i difetti nella funzione della via dell'interferone di tipo I e gli autoanticorpi contro gli IFN di tipo I promuovono lo sviluppo di forme gravi di COVID-19. 
  2. I risultati di alcuni studi suggeriscono che l'uso di interferoni ricombinanti di tipo I o di tipo III nel trattamento di pazienti con COVID-19 in una fase iniziale dell'infezione ha effetti benefici sull'esito clinico dei soggetti affetti da questa sindrome.
  3. Alcune proteine SARS CoV-2 possono antagonizzare la risposta antivirale dell'ospite agli interferoni, ritardandone l'insorgenza e riducendone l'estensione e la durata.
    L'infezione da SARS CoV-2 provoca una malattia con un decorso clinico distinto da quello suscitato da altri agenti patogeni, come il virus dell'influenza: 
  4. un periodo di incubazione più lungo, 
  5. un'insorgenza più lenta dei sintomi,
  6. una persistenza più lunga del virus nelle vie respiratorie, 
  7. una maggiore durata della malattia, 
  8. una finestra di positività più lunga, 
  9. una risposta iperinfiammatoria più prolungata, 
  10. una maggiore incidenza di casi con forme cliniche più gravi e più tassi elevati di mortalità.

Diverse ragioni possono contribuire a spiegare queste discrepanze. La risposta difensiva indotta dal sistema degli interferoni nei pazienti con COVID-19 differisce da quella rilevabile negli individui con influenza. In particolare, l'infezione da SARS CoV-2 induce una risposta interferone di tipo I-III più debole e ritardata rispetto a quella provocata dal virus dell'influenza (circa 1-3 giorni nell'influenza; 7-10 giorni nel COVID-19). Inoltre, SARS CoV-2 stimola il rilascio di un pattern di citochine da parte delle cellule immunitarie, tra cui TNF-⍺, IL-6, IL-8, IL-10. Lo spettro di questi mediatori è simile a quello suscitato dal virus dell'influenza, ma la risposta infiammatoria indotta negli individui con COVID-19 è più prolungata ed è associata a ospedalizzazione più lunga, maggiore incidenza di malattie critiche e mortalità rispetto a quella rilevabile in soggetti con influenza.

Dott.ssa Paola Ragazzini, Specialista in Fisiatria e Direttore Sanitario

Fig. 4. Profili temporali che descrivono la carica virale, il pattern di citochine, la risposta interferonica di tipo I-III e la gravità della malattia in pazienti con polmonite grave associata a infezione da virus dell'influenza A (IAV) rispetto a individui con COVID-19.

Linea gialla: grandezza della risposta interferone I-III; Linea viola: carica virale; Linea rossa: grandezza della risposta delle citochine; riquadro rosso: gravità della malattia. Nella polmonite influenzale, la risposta mediata da interferone I-III è più pronta e più robusta, precede quella pro infiammatoria, il decorso della malattia è più breve e la malattia è meno grave. Negli individui COVID-19 con polmonite, la risposta mediata da interferone di tipo I-III è più debole e ritardata e segue quella pro-infiammatoria, il decorso è più lungo e la malattia è più grave.


Dott. Claudio G. Gallo


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